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Oggi, 40 anni fa:

fonte https://www.orticalab.it/

quando radio Alfa divenne radio Terremoto.

Parla Michele Acampora C’è un prima e dopo il terremoto anche per l’informazione: da allora diventò pane quotidiano per tutti gli abitanti della Provincia.

Se le prime pagine de Il Mattino, mai così irpino al suo interno come allora, rappresentano una pagina di storia contemporanea, la storia più bella è senza dubbio quella di Radio Terremoto.

 Questo fu il nome di “battaglia” di Radio Alfa, entrata nella leggenda per aver coperto la tragedia non solo in termini giornalistici, ma soprattutto per il coordinamento delle operazioni logistiche in quelle fredde e terribili settimane.

Il faro di questa ricostruzione storica non può essere che Michele Acampora: la radio fatta uomo, una delle voci storiche dell’etere avellinese, ma anche una incredibile enciclopedia vivente di dati, date e storie che fondono la storia della comunità avellinese con le onde radio. Michele, facciamo un passo indietro.

E’ la mattina del 23 novembre, il dramma non si è ancora consumato. Avellino è in fermento per il calcio, la politica ed anche per le radio.

Se volessimo tratteggiare l’assetto del mercato radiofonico e del tuo impegno in radio, quale sarebbe lo scenario? «Ero il direttore artistico di Radio Alfa.

Mi occupavo del palinsesto, della strutturazione della fasce orarie con l’inserimento dei programmi, la loro selezione e quella dei conduttori, organizzati secondo le loro caratteristiche ed il loro background musicale. Il mio compito era calibrare la programmazione rispetto ai target di riferimento.

Era l’apice della nostra avventura radiofonica: Radio Alfa cercava persone per incrementare la programmazione, c’era un andirivieni di conduttori: tutti volevano entrare in quel mondo, ma avevamo dei paletti molto rigidi per la scelta dei collaboratori.

Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta l’etere irpino è pieno di radio. La prima a nascere è Radio Avellino, precisamente il quattro maggio 1976, nell’ottobre dello stesso anno vede la luce Radio Irpinia. Nel 1977 è la volta di Radio A3 vicina alle posizioni della sinistra extraparlamentare, mentre il 20 giugno 1977 Radio Alfa comincia le trasmissioni attingendo a molti dei collaboratori di Radio Avellino e di Radio Irpinia.

Un po’ di tempo dopo entrano in scena Radio City Sound e Radio Orizzonte che, sommate alle altre tante radio ’minori’, allargano a dismisura la proposta agli ascoltatori. In un anno e mezzo il mercato radiofonico ha raggiunto il culmine: basti pensare che con Radio Avellino avevamo bisogno di soli 100 watt per irradiare il nostro segnale, giusto dodici mesi dopo ne utilizzammo mille».

La sera del 23 novembre 1980 un terzo del Sud Italia implode. Manca tutto, c’è un popolo in ginocchio ed una macchina dei soccorsi che non parte. Cosa succede a Radio Alfa? «Dopo aver messo in ordine il cervello, il 25 novembre Radio Alfa tornò nuovamente in onda: in redazione c’eravamo io, Ciro Vigorito ed altri fedelissimi.

Fungemmo da ponte radio per i soccorsi, modificando tutti i nostri programmi.

Trasmettevamo musica classica, orchestrale, niente di festoso né allegro, tutto in linea con il momento drammatico che vivevamo.

Questi composti brani musicali facevano da intervallo a comunicazioni ed indicazioni stradali per quanto riguardava i soccorsi, ma anche agli appelli per la ricerca di persone scomparse o irreperibili.

Oltre al telefono, che era l’unico strumento utilizzabile, una grossa mano ci fu data dai radioamatori che ci recapitavano gli appelli per gli scomparsi sia da chi era in Irpinia, ma anche dall’estero.

Allo stesso modo raggiungevamo i baracchini dei camion degli aiuti, comunicando loro i chilometraggi e le posizioni dei paesi distrutti, verso i quali si accingevano a portare soccorso.

L’apporto che demmo alla logistica fu positivo, ma ricordo in maniera vivida l’opera che facemmo per la ricerca delle persone: fu molto toccante e realmente importante.

Ci fu più di un caso in cui riuscimmo a mettere in contatto i terremotati con i loro parenti lontani.

Uno degli episodi più significativi fu il ricongiungimento di alcuni scampati al terremoto con dei loro congiunti australiani.

La programmazione no stop vide la massiccia presenza di radiogiornali: i membri della redazione rimasti ad Avellino si alternavano alla conduzione, l’emergenza fece saltare i ruoli facendoci diventare tutti cronisti d’assalto. Raccoglievamo voci, proteste, disagi.

Tutto ciò non per vanagloria, ma per necessità, per un dovere sociale ed umano verso la nostra terra ed i nostri concittadini. Un vero e proprio slancio di coraggio.

Personalmente portai la mia famiglia fuori regione: all’interno del palazzo di Via De Renzi nel quale abitavo rimanemmo solo io ed un’altra persona. Il sisma rovinò la mia camera: l’armadio nel quale custodivo parte dei miei dischi si ribaltò impedendomi l’accesso ed azionando l’interruttore della luce.

Per oltre un mese e mezzo la mia stanza rimase illuminata ventiquattro ore su ventiquattro, un po’ come Radio Alfa.

Quei giorni devastanti segnarono la collaborazione con Radio Studio 95: noi fummo fortunati, la nostra palazzina era di recente costruzione e resistette alla spallata del sisma, mentre i ragazzi di Studio 95 ebbero dei problemi.

Nel gennaio del 1981 unificammo in parte le nostre trasmissioni: da una parte Radio Alfa1, dall’altra Radio Alfa2 Studio 95.

La collaborazione si chiuse nel settembre dello stesso anno». Radio Alfa, passata alla storia come Radio Terremoto, riuscì ad avere la “voce del terremoto”. Come vi è arrivata? «La registrazione del rumore ci venne portata da una persona, che mi sembra fosse di Lioni. Ascoltava della musica, in quel momento un liscio, e la stava registrando. Poi ci fu la scossa: il registratore riuscì a catturare anche il lunghissimo boato della catastrofe. Il nastro fu portato alla redazione giornalistica qualche mese dopo il terremoto.

Da quella registrazione, successivamente, feci un montaggio: il suono in apertura, poi un mixaggio di voci tratte da telefonate registrare nei giorni successivi e da estratti dei servizi giornalistici dei radiogiornali, c’era anche un appello di una persona ad un alto esponente della Chiesa.

Il mio lavoro fu utilizzato nella primavera del 1981, come introduzione ad alcune conferenze a cui demmo luogo all’interno dell’area del Cratere». Il sisma cambiò il vostro modo di fare radio? «A parte l’iniziale periodo post terremoto, le cose andarono a stabilizzarsi.

La programmazione, dopo circa un mese, tornò ad essere quella abituale. Tutti gli equilibri tornarono quelli del pre-terremoto: i programmi furono reinseriti nelle fasce orarie di riferimento, i ranghi della redazione si ricomposero.

Effettivamente qualche cambiamento ci fu: Radio Alfa incrementò le trasmissioni giornalistiche. Ciò anche per contrastare Radio Irpinia, che era più incisiva di noi in merito, avendo una redazione più numerosa riusciva a coprire al meglio l’aggiornamento delle notizie. Un altro aspetto del terremoto che ci segnò come redazione fu quello di avere una sorta di protocollo delle emergenze.

Il 14 febbraio 1981 la terra tremò nuovamente e ci muovemmo in maniera totalmente identica rispetto al novembre dell’anno prima: tutti accorremmo in radio, sembravamo quasi un corpo militare d’emergenza. Più di una volta documentammo e commentammo in diretta delle scosse di assestamento.

E’ nitido il mio ricordo di Ciro Vigorito che, proprio durante una scossa, annunciò in diretta radio “Stiamo tremando”, con la sua inconfondibile voce. Qualche radio piccola chiuse i battenti a causa dei danni alle strutture o alle strumentazioni, ma ad Avellino tutte le radio continuarono le loro trasmissioni».

Ancora un passo indietro. Torniamo agli anni Settanta. In Italia scoppia la mania delle radio libere, l’onda arriva anche ad Avellino… «Fu un’esperienza straordinaria.

L’idea nacque nel gennaio del 1976. A maggio iniziarono le trasmissioni di Radio Avellino, furono mesi indimenticabili.

Molti di noi compravamo giornali di musica e cultura nei quali si parlava vagamente delle radio private che stavano nascendo a Milano, nella Pianura Padana, a Bologna. Fummo in prima fila in una realtà piccola e meridionale come quella della nostra città, sfidammo il mondo su un territorio nuovo che era culturalmente nostro. L’intelligenza dei primi imprenditori impegnati nell’etere consistette proprio in questo: per dar vita alle radio libere si rivolsero a persone che suonavano nei gruppi musicali, ai pochi ma appassionati disk jockey, ovvero soggetti con un’importante cultura musicale. I contenuti prodotti furono di altissimo livello. La professionalità dell’impegno impose ad ognuno di noi di affinarci: regolammo il tono di voce, molti fecero corsi di dizione, altri di inglese. Ciò fece sì che Avellino, nel giro di un anno e mezzo, toccasse livelli di qualità radiofonica altissimi.

La Radio Alfa degli anni tra il ’77 e l’80 dava vita a prodotti qualitativamente di livello nazionale: lo testimoniano i dati d’ascolto dell’epoca che ci davano, come share in proporzione al bacino d’ascolto, ai primi posti in Italia. Tutto era studiato per arrivare alla massima qualità: ogni mossa, ogni trasmissione, il rapporto con le major discografiche e con le etichette indipendenti. L’ottimo lavoro riuscì a farci guadagnare qualche importante esclusiva: ricordo un disco di Neil Young trasmesso in anteprima nazionale, le interviste sia in radio che in esterna ad artisti, italiani e stranieri, di prim’ordine.

Le radio avellinesi erano di altissimo livello: l’entusiasmo per le trasmissioni e la gioia per il successo contagiavano tutti. La nostra giovane età aiutava a farci sentire liberi, ma ciò rappresentò anche un limite: il giocattolo era meraviglioso c’erano sbocchi importanti, ma nessuno ebbe il coraggio, io in primis, di pensare che potesse diventare un lavoro. Considerammo la radio come un bellissimo hobby, a causa di una mentalità forse antiquata o per la pressione delle nostre famiglie. Fu così che ognuno di noi ha cercato una propria realizzazione negli studi, confinando la radio fuori dai nostri progetti futuri». Si può dire che la storia della radiofonia avellinese vada a braccetto con quella della comunità. Cosa rappresentavano le radio a quel tempo? Quali erano i programmi con più successo?

La comunità dell’epoca era terreno fertile per la costruzione di identità culturali di qualità? «A Radio Avellino arrivavano moltissime lettere degli ascoltatori per il programma che conducevo: avevo la possibilità di verificare che dall’altra parte c’erano tantissime persone aperte al rock e che avevano voglia di interagire, seppur con i mezzi di allora. Lettere ricche di complimenti, ma anche di considerazioni, di confidenze.

La musica era il tramite, metteva in contatto anime lontane, ma che erano vicine culturalmente. Avellino era migliore perché era completa a livello generazionale. Ora le generazioni sono spezzettate: la fascia di mezzo, quella relativa agli studenti universitari, è sparita. C’è un esodo di giovani che vanno via e creano un vuoto di percezione rispetto all’ambito della comunicazione e dell’informazione locale.

Quella degli anni successivi alle scuole superiori è l’età più forte, quella che può cambiare il mondo, ma la verve dei giovani avellinesi foraggia il cambiamento delle città dove vanno a vivere. Manca l’humus vitale. Questo è il gap più importante rispetto agli anni Settanta ed Ottanta. Basti pensare che le radio locali davano la possibilità di essere presenti, di palesarsi al mondo, praticamente erano un Facebook “ante litteram”. Grazie alla telefonata in radio tutti riuscivano ad essere protagonisti, a prescindere dal proprio ceto sociale: l’attimo di notorietà era garantito e tutti erano, a loro modo, dei personaggi riconosciuti. Importantissimi, in questo senso, erano i programmi notturni. Quello di Vittorio Cultrone su Radio Irpinia ne era l’emblema: andò a crearsi una sorta di tribù che viveva la vita con gli stessi canoni, con gli stessi consumi, con lo stesso linguaggio. Il programma era una sorta di piazza virtuale, dove addirittura si organizzavano le uscite di gruppo.

La radio valorizzava tutti, una sensazione straordinaria sia per noi radiofonici che per le persone. Parlando di programmi non posso non fare un passaggio su Radio Alfa. Citare ’Hey J.’, il programma condotto da Giannantonio Oliva è doveroso. Lui non aveva nulla da invidiare ai conduttori radiofonici della Rai: voce pulita, competenza massima, Giannantonio conduceva un programma di musica da discoteca che sceglieva con un gusto unico. Io ero il suo ’nemico’: Camarillo Brillo è stata una trasmissione cult. Il format fu indovinato, il target di riferimento ancor di più, questo contribuì alla sua lunga vita. Tutto era mosso dalla passione per il rock e per la radiofonia, ovviamente». Dopo la Legge Mammì sul riassetto radiotelevisivo è cambiato tutto. La radio libere sono scomparse, entrano in scena i grandi network. Anche Radio Alfa cambia… «Per la verità la legge fu solo il colpo di grazia. In realtà attraversammo due momenti di forte disagio. Il primo fu di tipo economico: ci mantenevamo solo con pubblicità, ma a causa della nascita delle tv private che raccoglievano più pubblicità di noi per le loro dinamiche più consone agli spot, il fatturato calò. Un’altra mazzata ci fu data dalla Rai che inaugurò programmi in stereo scopiazzando le trasmissioni delle radio private. ’Rai Stereo Notte’, programma notturno di rock, ne fu l’emblema visto che ricalcava pedissequamente le logiche delle radio private. La Legge Mammì ci impose di diventare un’azienda, ma le radio libere avevano una funzione sociale fortissima: erano una sorta di cortile dove ’giocavano’ e si sottraevano a situazioni degradate un sacco di ragazzi di quartiere.

Loro emergevano, uscivano dall’anonimato ma anche da situazioni pericolose. Era un artigianato che vinceva: la rivoluzione industriale, in questo caso, non ha funzionato ed ha creato un disastro sociale spazzando via le radio private. Grazie a loro si viveva e si andava oltre il proprio ambito personale, si superavano i propri limiti».

Il medium più vecchio, ma sempre sulla cresta dell’onda. Al netto della legislazione, oggi sarebbe possibile un altro exploit? «No. L’unica opportunità sarebbe quella della web radio. C’è, però, un limite di fondo molto importante. Per me la radio è un automobilista che viaggia in autostrada e si trova tra Avellino Est ed Avellino Ovest: facendo zapping mi sente e si emoziona perché sto traducendo una canzone o sto mandando in onda un pezzo.

Una cosa che la web radio non può dare. Mancano il romanticismo, la magia, la casualità. Con la web radio devi prendere un appuntamento, devi collegarti, deve esserci internet a portata di mano. La radio vera è un’altra cosa. E’ il ‘message in a bottle’ che si materializza davanti a qualcuno facendolo stare bene. Questo qualcuno ti sarà grato, senza sapere tu chi sei».